Una splendida coppia di Fenici dorate
Queste rare ed inedite sculture in metallo sono state realizzate congiungendo tramite rivetti più lamine di ferro sbalzato, policromato di rosso all’interno e poi interamente dorate. Gli uccelli poggiano i loro artigli su quello che potrebbe essere un masso o un cumulo di ceneri ardenti, percorso da ciuffetti erbosi o piccole lingue di fuoco, al di sotto del quale si diparte un giro di lunghe piume, che allude a un nido, pure realizzato con lamine di ferro sbalzate e dorate. Le due sculture, cave al loro interno, sono sorrette da un basamento in legno tornito con un profilo svasato, policromato e dorato.
Il mito della Fenice, un uccello molto longevo e capace di rinascere dalle sue ceneri dopo la morte, affonda le proprie radici nella cultura orientale e deriva probabilmente dall’antichissimo culto del Sole.
Si tratta di un’immagine profondamente poetica legata all’incantevole aspetto della Fenice e al suo fortissimo valore utopico: questo essere mitologico incarna la possibilità del rinnovamento costante della vita, la metafora dei cicli della natura e del susseguirsi delle stagioni.
Il mito viene assorbito nella mitologia dell’epoca classica: in Occidente è raccontato ad esempio da Ovidio che, nelle Metamorfosi e negli Amores, esalta la particolare bellezza e l’eternità dello splendido animale.
La Fenice rivive poi fortemente anche nel mondo cristiano, che vi legge la metafora cristologica della Resurrezione interpretando dunque la figura come simbolo, se non vero emblema, di Cristo stesso, della fede nell’Onnipotente e dell’anima, capace di liberarsi dalla prigione del corpo.
Nella cultura europea rinascimentale e moderna, la Fenice ricorre spesso in contesti vicini ai temi del fuoco, della rivalsa, del divino e della conoscenza, ed è tipicamente presente nell’ambito delle pratiche alchemiche.
Ma forse è il periodo barocco, in modo particolare, che ci restituisce la maggiore attenzione per la Fenice: elogiata come immagine di tutto ciò che è trasformazione e spettacolo, cambiamento e sorpresa, essa incarna perfettamente quei temi che furono particolarmente cari alla cultura del Seicento; nella letteratura, la Fenice (associata ad epiteti come divina, eterna, alata, gloriosa, nobile, immortale) viene quindi immediatamente resa protagonista di potenti metafore legate al mondo imperiale, eroico e divino, ed è certamente in questa accezione che risulta particolarmente cara anche al mondo Rococò. Questa lettura del mito in funzione celebrativa, ad esempio, è ben attestata nella poesia barocca di cultura spagnola, non a caso la stessa che ha prodotto la splendida coppia di Fenici qui presentata.
Possiamo infatti confermare con relativa sicurezza la provenienza spagnola delle nostre Fenici per via della loro notevole qualità ma ancor più per la tipologia tecnica della lavorazione, che si inserisce a pieno titolo nella celebre tradizione iberica. È infatti noto come, tra il ‘500 e il ‘600 si sviluppi in Spagna un’importante produzione figurativa in ferro sbalzato e dorato, che raggiunge le sue vette nei numerosi pannelli decorativi, protagonisti delle celebri grate monumentali collocate nelle principali cattedrali del paese (Salamanca, Sevilla, Granada), ma che viene impiegata egualmente per abbellire grate da finestra, candelieri da terra e altri elementi d’arredo. Per quanto riguarda poi la cronologia, possiamo dire che si tratta di due opere ancora memori della grande tradizione rinascimentale, ma molto probabilmente realizzate nel corso del XVII secolo.
Poiché finora non è stato possibile identificare altri esempi di fenici in ferro, risulta anche arduo stabilire con precisione da quale area della Spagna provengano queste sculture.
Possiamo in ogni caso richiamare due importanti esempi di Fenici che ornano celebri monumenti ispanici, sebbene in contesti e materiali differenti. In entrambi i casi, la Fenice è stata scelta per presidiare luoghi di enorme importanza, come immagine definitiva del potere e del sapere.
Nel Monastero di Santa Cruz a Valladolid sono ancora in sede le antiche porte della Biblioteca, in legno finemente intagliato, attribuite allo scultore Alejo de Vahìa e realizzate intorno al 1450-1500: circondate da un serto a candelabra vegetale, con una corona intorno collo, due Fenici tengono nel becco un cartiglio recante in lettere capitali l’iscrizione Apud Deum in uno, Verbum Erat nell’altro, dal celebre incipit del Vangelo di Giovanni.
Troviamo ancora la Fenice come immagine centrale del portale monumentale della Casa de Castril (Granada, oggi sede del Museo Archeologico), datata 1539. Il palazzo, collocato in una delle vie più importanti del centro e realizzato dall’architetto Sebastián de Alcántara, discepolo di Diego di Siloé, era appartenuto alla famiglia di Hernando de Zafra, letterato e segretario dei Re Cattolici, Fernando II di Aragona e Isabella di Castiglia, e costituisce uno dei migliori esempi di architettura e decorazione rinascimentale della città.
Si noterà immediatamente come, non a caso, in entrambi gli esempi l’immagine decora e sorveglia una soglia, che va intesa come luogo reale di passaggio ma anche come spazio simbolico: nel caso della biblioteca di Valladolid, le due porte permettono a chi le varca di lasciare il mondo terreno ed accedere a quello sacro attraverso il sapere assoluto, quello offerto dalla parola di Dio e dagli scritti dei dottori della Chiesa custoditi nella biblioteca, cioè un tempio della conoscenza; a Granada, la Fenice sovrasta la soglia che segna l’accesso alla dimora di un uomo importante, desideroso di trasmettere un chiaro messaggio di potere, attraverso appunto l’immagine di un simbolo antichissimo di immortalità e quindi, per traslato, di onnipotenza.
Tornando per un attimo alle porte di Valladolid, inoltre, si osservi come le Fenici appaiono in coppia in un contesto erudito, con una licenza rispetto alla versione tradizionale del mito, che però conferma la possibilità che questo uccello leggendario, sebbene conosciuto come unico, sia stato in passato ‘raddoppiato’ per esigenze iconografiche e decorative.
Le due attestazioni, realizzate a circa un secolo di distanza e collocate in due luoghi piuttosto lontani, ma entrambi rilevanti per la storia spagnola dell’epoca cattolica, mostrano come il mito abbia attraversato i secoli e le regioni.
Oltre alla lettura più simbolica, si dovrà considerare poi un’ulteriore ipotesi circa le nostre due sculture, ovvero quella araldica: partendo dal valore emblematico della creatura mitologica, infatti, la Fenice fu impiegata negli stemmi come immagine della perseveranza degli animi nobili e generosi e anche di immortalità. Diverse famiglie spagnole recano la Fenice nel loro stemma: i Campaner di Mallorca col motto Fenicis instar vives, nomen campane sonavit; Francisco Boix de Berard, un importante nobiluomo maiorchino, che usò una divisa con la Fenice tra le fiamme col motto non confundar in eternum; le famiglie Folquer (Catalogna) e Carnicer (Aragón) che ebbero anch’esse Fenici nei loro blasoni.
È possibile dunque ipotizzare che i manufatti qui esaminati occupassero una posizione di rilievo in un ambiente di rappresentanza di un palazzo oppure in una cappella gentilizia, magari proprio a sorvegliare una soglia, alludendo contestualmente alle qualità morali e al rango della famiglia committente, se non anche direttamente al blasone.
COPPIA DI FENICI
Ferro sbalzato, policromato e dorato
Spagna
Fine secolo XVII
H. cm 51
Riferimenti: Ovidio, Metamorfosi,XV, 392-410; Amores, II, 6, 54; L’Espoir en Dieu, arazzo di Jan Van Brussel, post 1528, Parigi, Musée national du Moyen Age – Thermes de Cluny; El mito del Ave Fénix en la poesía barroca novohispana: influencias y relaciones comparadas, Jorge García-Ramos Merlo, in El largo viaje de los mitos Mitos clásicos y mitos prehispánicos en las literaturas latinoamericanas, a cura di S. Tedeschi, 2020.
© 2013 – 2023 cesatiecesati.com | Please do not reproduce without our expressed written consent
Alessandro Cesati, Via San Giovanni sul Muro, 3 – 20121 Milano – P.IVA: IT06833070151