Un delicato San Giovannino in bosso

Questa elegante scultura in legno di bosso raffigura san Giovanni Battista bambino, stante su un masso abitato da piccoli animali, con indosso la tipica veste di pelle di cammello, stretta in vita da una corda, col lembo superiore rovesciato, chiusa sul fianco da alamari. Il Battista regge con il braccio sinistro un agnellino e tiene nella mano destra la tipica croce a canne incrociate da cui pende un vessillo metallico (di epoca posteriore).

L’assenza di tensione nel viso e nella postura del giovane santo, col peso concentrato sulla gamba destra, conferisce alla scultura una particolare intensità, sottolineata dall’anatomia dolce e generosa degli arti scoperti. Gli elementi che identificano il personaggio fanno parte della classica iconografia del Battista a partire dal primo Rinascimento; si pensi alle celebri raffigurazioni fiorentine dei primi del Quattrocento, o a quelle ancora più celebri di Leonardo, Michelangelo e Raffaello: la croce come simbolo del suo ruolo di precursore, indice di povertà e umiltà; la bandiera con le parole che Giovanni pronuncia vedendo Gesù (Ecce Agnus Dei); la pelle di cammello ad indicare la sua permanenza nel deserto; infine l’Agnellino che traduce concretamente le parole rivolte a Gesù e al tempo stesso indica la purezza del Battista.
La descrizione minuziosa del vello dell’animale, dei boccoli e delle ciocche della veste, così come del volto del ragazzo, delle sue calzature e del coniglietto che si nasconde fra i massi del basamento, nonché l’aspetto paffuto della figura che richiama i putti dell’antichità, sono indice di un particolare interesse naturalistico ed estetico dell’artista e permettono di collocare la scultura in area franco-fiamminga intorno alla prima metà del Seicento.

La tradizione della scultura in bosso di piccole dimensioni conosce a partire dal Trecento una particolare diffusione soprattutto in Europa settentrionale, nella vasta area che si estende dalla Francia alle Fiandre, alla Germania.
Fin dall’antichità il bosso era considerato un materiale raro e pregiato per la sua particolare durezza e resistenza; la compattezza della sua struttura e la sua particolare grana lo rendono ben lavorabile in tutte le direzioni oltre che resistente alla levigatura, consentendo allo scultore di restituire i dettagli più minuti. Importato nel nord Europa dall’area Mediterranea e del mar Nero, il bosso appare inizialmente di colore giallognolo chiaro, ma col tempo acquisisce colorazioni calde nei toni dell’arancio e del rosso, che gli artisti in certi casi rinforzavano applicando lacche o vernici, probabilmente per renderlo cromaticamente simile al bronzo .
Fra i centri più importanti della scultura in bosso fra il Cinquecento e il Seicento possiamo annoverare Malines, Anversa e Liegi, dove le preziose sculture come questa, di piccolo formato e destinate alla devozione privata, erano particolarmente amate. Per contro sono pochissimi gli scultori noti di cui siano documentate opere in questo prezioso legno. Fra questi il celebre artista tedesco Leonhard Kern e i fiamminghi Albert Janszoon Vinckenbrinck, Lucas Faydherbe e Maria Faydherbe, e alla cerchia di quest’ultima si può forse ricondurre la scultura in esame.

Maria Faydherbe (Mechelen, 1587 – post 1633), cerchia di
SAN GIOVANNI BATTISTA
Legno di bosso
1630-50
Cm 5,5 x 5,5 x 15h

Riferimenti: Katlijne Van Der Stighelen, Mirjam Westen, Maaike Meijer, A chacun sa grâce: Femmes artistes en Belgique et au Pays-Bas 1500-1950, Ludion, 1999, p. 144; J. Jansen, Het geschil van Maria Faydherbe in 1632–1633 of despanning tussen Renaissanceen Barokbeeldhouwkunst te Mechelen, in “Bulletin kik/irpa” 22 (1988–1989), pp. 78–103; Marjorie Trusted, Maria Faydherbe: a seventeenth-century sculptor in Mechelen, in “The Burlington Magazine”, 156 (2014), 1331, pp. 104-106; H. Schmidt, Bronze, Boxwood, and Ivory in the Robert H. Smith Collection of Renaissance Sculpture, London 2015; Klara Alen, Maria Faydherbe (Mechelen, 1587 – after 1633), a woman sculptor in a man’s world, in Facts & feelings. Retracing emotions of artists, 1600 – 1800, Turnhout 2015, pp. 77-99.

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